Addio ad Alberto Paolini, ha passato 42 anni nel manicomio di Roma senza una diagnosi
Alberto Paolini non c'è più. Si è spento ieri a 92 anni uno degli ex internati più noti della Capitale. Scrittore e poeta, dopo la chiusura del manicomio di Roma, ha dedicato la sua vita a raccontare e raccontarsi, per far conoscere alle nuove generazioni come veniva affrontata la malattia mentale in Italia prima della legge Basaglia. I funerali di Alberto si terranno martedì 4 febbraio alle ore 11 presso la parrocchia santa Maddalena di Canossa, via della Lucchina 82.
La speranza sgretolata di una nuova famiglia
Paolini è rimasto ricoverato per 42 anni nel manicomio di Roma, il Santa Maria della Pietà. Un'infanzia rubata la sua, rinchiuso quando era solo un ragazzino senza avere mai ricevuto una vera diagnosi. Prima di finire ricoverato, Alberto si trovava in orfanotrofio, avendo perso entrambi i genitori. Lì si è accorta di lui una donna svizzera (che Alberto ancora chiama "la benefattrice"), che decise di accoglierlo in casa. Ma la speranza per Alberto di avere di nuovo una famiglia si è sgretolata dopo appena due mesi. La benefattrice infatti, dopo poco più di 60 giorni, riportò Alberto in orfanotrofio affermando "questo bambino non è normale".
L'ingresso al manicomio di Santa Maria
Alberto era un bambino timido, molto taciturno grazie anche alla severità dell'orfanotrofio. Ma non aveva nessun disturbo. Eppure dopo questo rifiuto finirà in manicomio. Il suo ingresso al Santa Maria viene sancito da una semplice risposta affermativa. "Un dottore mi ha fatto tantissime domande, ad un certo punto mi chiede se mi era mai capitato di sentire delle voci senza capire da dove provenissero. Io ho pensato intendesse di sentire persone parlare, ma senza individuarle con lo sguardo ed ho annuito. Quella risposta è stata la mia condanna".
Salvo grazie alla scrittura
Alberto ha visto e provato sulla sua pelle tutti gli orrori della segregazione manicomiale, perfino l'elettroshock a cui viene sottoposto nonostante fosse solo un ragazzino. La scrittura è stata la sua ancora di salvataggio, l'unica salvezza per affrontare gli anni durissimi di reclusione. Ha iniziato scrivendo i suoi racconti e le sue poesie su piccoli foglietti che poi infilava nelle sue tasche. Ai ricoverati infatti non era consentito tenere nulla. Da quei frammenti poi, una volta uscito dal manicomio, Alberto ha prodotto un libro sulla sua storia dal titolo "Avevo solo le mie tasche".
La seconda vita di Alberto
Alla fine degli anni '90 Alberto è finalmente uscito dal Santa Maria della Pietà e a quasi 70 anni si è ritrovato a scoprire il mondo fuori da quelle mura. La sua seconda. vita l'ha dedicata alla memoria e alla divulgazione. Ha partecipato a tantissimi incontri sul tema, ha fatto parte del cast del film "La pecora nera" di Ascanio Celestini, ha raccontato la sua storia nelle scuole, nei convegni, nei teatri. In tanti lo hanno intervistato e lui non si è mai tirato indietro, voleva raccontare gli orrori che aveva vissuto. Una seconda vita piena di incontri e persone dopo oltre 40 anni trascorsi isolato da tutto e tutti. E la sua spalla in questo viaggio per tanti anni è stata un ex infermiere Adriano Pallotta, deceduto nel 2022.